lunedì 24 giugno 2013

Una cena sul lago Screanzato e uno spettacolo imprevisto


Questo è il ristorante.
Non lasciatevi ingannare dall'aspetto dimesso: non hanno un gran repertorio, ma si mangia bene, è pulito, non si spende molto e, soprattutto, ha una splendida vista sul lago Screanzato.
Ci siamo andati sabato sera io, Tarquinius, Arturo il soriano ragioniere e la sua compagna, la visoncina cipria Lucy K.K.
Non era la prima volta, per noi; Lucy l'ha scoperto anni fa, ci siamo andati attirati dai piatti vegetariani, ma ogni volta che ci si va si trova un menu diverso. Sabato sera regnava il pesce di lago: gamberetti, smitruffole e cristabilli del lago Screanzato, per cui abbiamo preso un risotto al pesce di lago, tortino di fagiolina accompagnato da una salsina di fratapompi  e una brocca di fresco vino bianco "Sorgente dello Screanzato Amor".
I proprietari del ristorantino sono due nutrie, si chiamano Cipriana e Rotari, servono ai tavoli con nonchalance e con un fare apparentemente trasandato. I tavoli e le sedie sono tutti diversi, per non parlare della cosiddetta cristalleria: piatti e bicchieri che più scompagnati non si può. Ma la presentazione delle pietanze è assai curata.
Sabato c'è stato anche un pietoso spettacolino - e credo che Rotari e Cipriana ne avrebbero fatto volentieri a meno.
Eravamo seduti sulla terrazza accanto alla balaustra laterale, con vista su una piccola e lercia officina di riparazione barche e su una casa semi-diroccata più in là. Nel cortile della casa, ingombro di reti, barche rovesciate e materiale di risulta, erano stati sistemati sotto i tigli  un tavolo di legno con panche e un barbecue, che tre bracchi in vari stadi di allegria etilica stavano tentando di ravvivare (peccato che, quando lo ravvivavano, ci buttavano subito sopra ciocchi di legna che soffocavano il fuoco... e lì grasse e rauche risate, attingendo generosamente da una "dama umbra" piena di un vinaccio non identificato). Uno dei tre a un certo punto, mentre gli altri si rivolgevano berciando agli avventori del ristorante per chiedere se desse fastidio il fumo, urla "Vedrè quanto ce divertimo, quand'arivon le maiale!!!"
"Andiamo bene!" sussurra Tarquinius, "Compagnia scelta" rintuzza Lucy K.K.
Dopo un po' le maiale sono arrivate. Si trattava in verità di due belle straniere con una bimba, credo fossero tre manguste, accolte subito dal più sbronzo dei bracchi con le cordiali parole" Ooooh, ecco finalmente le zoccole!!!"  Meno suscettibili di me, le tre signore o signorine non battono ciglio e si sono unite alla brigata, mantenendo però un modo di fare un tantino più sobrio. Nel frattempo, Rotari li guardava dalla terrazza con espressione vagamente inquieta, scuotendo la testa.
 

 
 
Il barbecue, intanto, ardeva allegramente nel crepuscolo, mentre il sole calava con molta calma, disegnando strisce rosate sulla superficie ferma del lago. Ogni tanto si vedeva una mangusta che veniva a mettere sul barbecue un panino farcito di porchetta, ma a parte questo, non si capiva a cosa dovesse servire il fuoco: ci saremmo aspettati che comparissero costolette, salsicce, fegatelli e cose simili, ma niente di tutto ciò è stato messo sulla graticola.
Ad un tratto, un urlo selvaggio squarcia la tranquillità della sera: la più bella delle tre straniere esce a razzo dal retro della casa, inseguita da uno dei bracchi, ed urla "Ti odioooooooooo!!!! Non voglio vederti mai più!!!! Vai a fare in culooooooooooooooooo!!!!" e sparisce, mentre il bracco rideva sguaiatamente, raggiunto in seguito dagli altri, che ridevano più di lui.
Ad un certo punto sono scomparsi tutti. Il barbecue è rimasto lì, a bruciare solitario. "Speriamo che non dia fuoco alle latte di benzina dell'officina" ha bofonchiato Tarquinius. Lucy K.K. guardava pensierosa il fuoco che ondeggiava sotto i tigli e si spegneva lentamente; io pensavo che quelle risate mi parevano nascondere una profonda disperazione.
Più tardi è arrivato un anziano, che ha guardato il braciere, poi si è avvicinato al tavolo e ha cominciato a portar via quello che era rimasto del pane, della porchetta e del vino.
 
 

 
(veduta del Lago Screanzato)

mercoledì 19 giugno 2013

Assertività ed orgoglio

Stamattina Tarquinius mi ha chiesto perché mai io (e Susanna prima di me) ami tanto i mini-misteri. Perché se fossero grandi mi farebbero paura, gli ho risposto io.
Lui ha detto che gli pare che alla gente facciano paura anche quelli piccoli, perché pensa che molte volte basterebbe chiedere per svelare l'arcano. Ma la gente non chiede, va avanti anni a domandarsi perché sia successa una cosa, ma non cerca mai di chiarire la cosa con gli interessati.
La tua amica Fabia, ad esempio: perché non ha più telefonato al Saltafossi per chiedergli lumi?
 
Probabilmente Tarquinius ha ragione. Anni fa frequentavo un gruppo di gente di una nota associazione di volontariato. Andavamo assieme in gita, in pizzeria, a fare passeggiate, al cinema. Ci vedevamo spesso, era un bel periodo, stavo bene con loro.
Un giorno un giovane della compagnia portò seco un amico d'infanzia. Lo avevo conosciuto anche io: era un tipo simpatico, che però amava metter male, riferiva pettegolezzi inventati, litigava per ragioni incomprensibili. Si chiamava Armando. Anni prima aveva interrotto i rapporti con me e con Tarquinius, allora fidanzati, perché diceva di non sopportare il fatto che stessimo sempre insieme e ci difendessimo l'un l'altro.
Il che, per due fidanzati, non mi pare strano, diciamo.
 
Uscì un paio di volte con il nostro gruppo, dopo di che Tarquinius ed io non fummo più invitati.
Fine del cinema, delle gite, delle passeggiate, delle cene in pizzeria.
Una ragazza del gruppo, tale Viola, una sera ci disse che non ci chiamavano più perché era Armando che non voleva. Aveva detto agli altri che, se avessero invitato noi, non dovevano chiamare lui. E Viola era molto seccata perché la compagnia aveva scelto lui.
Uno degli amici le aveva detto che io e Tarquinius eravamo una coppia e Armando era solo; era per questo che non se la sentivano di lasciarlo a casa.
 
Il fatto è che non li frequentammo più. Uno dei nostri amici si sposò e nemmeno ce lo disse; un altro si sposò ed adottò due figlioli; ma noi lo venimmo a sapere da terzi.
Tarquinius all'epoca mi disse di lasciarli perdere ed io feci così.
Ma ogni tanto mi chiedo se Armando - ora defunto - fosse la sola ragione.
Probabilmente no. Probabilmente questi amici già avevano qualcosa contro di noi, e la richiesta di Armando non fece che rafforzare l'antipatia che già provavano per noi. Solo che io non ne conosco la ragione.
Tarquinius dice che, se ci fosse stato qualcosa che non andava, gli amici avrebbero dovuto parlarne con noi, assertivamente. Dire "non ci va bene il vostro comportamento per il tale e per il talaltro motivo". Ma le gente di solito non lo fa. Preferisce chiudere senza spiegazioni.
Non ama fare processi né subirne.
Del resto, io mi arroccai nel mio orgoglio e non domandai mai spiegazioni a nessuno. Avrei fatto meglio a farlo?
 
                                                         (questa sono io, all'epoca dei fatti).
 

mercoledì 12 giugno 2013

Fabiamaria e il terreno fantasma


Anche Fabia, la gatta certosina che danza col nome di Aysel, si è detta disposta a contribuire alla serie dei mini-misteri inaugurata dalla povera Susanna.
Ricordo che Fabia si chiama Fabiamaria Baldoncini Bellaveglia e vive a Passignano sul Trasimeno, dove gestisce una latteria-yoghurteria. Ieri è venuta a trovarci con una torta gelato allo yoghurt e alle pesche, fatta dalle sue grigie manine, e ci ha narrato che un anno fa aveva ricevuto una telefonata poco chiara da tale Guerrino Saltafossi di Sanguineto (vicino Tuoro), che si era proclamato suo parente e le aveva fatto una proposta.
 
                                                            (veduta della torre di Sanguineto)
 
Il tale si era dichiarato un ragioniere impiegato preso una immobiliare locale e le aveva proposto di comperare, per la somma di euri seimila al metro quadro, un terreno che Fabia possedeva sulle rive del lago, non lontano dal raccordo autostradale, insomma, una pedata.
 
Per chi non è del luogo, si definisce pedata "... la parte dei terreni, che confinano con il Lago Trasimeno e alternativamente si trovano sommersi o emersi a seconda del crescere o decrescere del livello dell'acqua [ ...].  La pedata consisteva in un quadrato di terra con il lato di piedi dodici, ossia 144 piedi quadrati, ciò che costituiva un cospicuo patrimonio per estensione (circa 400-500 ettari) e ricco per la resa delle erbe palustri (cannucce, pagliola, giunco da fiscoli, cannellone, ecc.), più le altre erbe da foraggio e da strame."
 
Il tale Guerrino Saltafossi aveva continuato dicendosi quasi certo che la giovane Fabia non utilizzasse gran che questa sua piccola proprietà, che lui possedeva delle pedate confinanti e che riteneva di farle un'offerta congrua con la sua proposta di acquisto.
 
Senonché Fabia aveva dichiarato di non possedere alcunché sulle rive del lago (né da altre parti, volendo precisare).
Il Saltafossi aveva insistito. Fabia possedeva una pedata sulle rive del Trasimeno, presso Tuoro, proprietà che le derivava dall'eredità della nonna paterna, Isolina Baldoncini, deceduta verso la fine degli anni Dieci.
Fabia aveva ribattuto che l'unica eredità ricevuta dall'ava erano ventimila euro ed un anello con corallo. Del resto, se veramente avesse ricevuto un terreno in eredità, qualcuno avrebbe dovuto dirglielo, no? Sarebbe stata convocata da un notaio. Avrebbe dovuto firmare qualche documento. Ci avrebbe dovuto pagare le tasse. Insomma, in qualche modo ne sarebbe venuta a conoscenza. O no?
 
Il Saltafossi l'aveva invitata a consultare il catasto e aveva reiterato  la sua offerta d'acquisto.
 
Perplessa, Fabia aveva telefonato ad una sua zia, la quale la aveva messa in guardia nei confronti di Guerrino Saltafossi, che era effettivamente un loro parente, ma un po' losco, come dire; era effettivamente ragioniere, ma l'immobiliare presso cui lavorava era sempre la sua: nel senso che lavorava in casa, dove si occupava di tasse, 730, rendite catastali, IMU e piacevolezze simili. In tutti i modi, la zia le aveva confermato che la nonna Isolina aveva posseduto sì, delle pedate, ma che le aveva lasciate tutte in eredità a lei (la zia), che le aveva già vendute. E non certo a seimila euro il metro quadro, ma al doppio.
 
Le ho chiesto se fosse mai andata al catasto per verificare se veramente era proprietaria di un terreno. "Mai" aveva risposto la gatta certosina "Ho fatto una telefonata al catasto e mi hanno detto di andar là e fare una richiesta - scritta e a pagamento - e che, in ogni caso, avrei dovuto dir loro dove precisamente fosse questo terreno. Io ho replicato che era quello il punto: che non lo sapevo. Che non sapevo neppure di averlo, questo pezzo di terra. Loro si sono messi a ridere e mi hanno detto di non poterci fare niente... E dopo ho pensato un'altra cosa.... e se poi scoprivo che per davvero ce lo avevo, che non ci avevo mai pagato le tasse e che magari lo Stato me le rivoleva tutte insieme?..."

Io le ho detto che mi pareva una paranoia improbabile, ma in effetti mi sono chiesta per quale motivo il Saltafossi se ne fosse uscito con un'offerta così chiaramente insensata. Da chi aveva avuto la notizia che Fabia possedeva il terreno? E se sapeva che Fabia non aveva nulla, che senso aveva quella proposta?
"Hai saputo più niente da questo tizio?" le ho chiesto poi.
"Assolutamente nulla" aveva risposto Fabia. "Dopo aver detto che mi avrebbe ricontattata, non si è mai più fatto vivo..."
 
 
 
 






domenica 9 giugno 2013

La serie dei mini-misteri: il barista di Cava della Piaggia


Certo, se nella mia vita ci fossero i misteri della politica italiana o taluni enigmi che ammorbano la vita delle eroine della carta stampata, starei fresca, io. La mia povera amica Susanna (la micia calicò che ha aperto questo blog) ve ne ha raccontati alcuni, io ho contribuito con un paio di modesti misteri ancora non svelati, ed ora mi sono ricordata un altro paio di curiosi avvenimenti che ancora non hanno trovato spiegazione.
Una sera di alcuni anni fa ricevetti a casa una telefonata. Non si sentiva gran che, la linea era disturbata, io riuscivo a captare una parola sì e quindici no. Alla fine sentii, attraverso il ricevitore, una voce dialettale perugina con un sottofondo di altre voci ed un acciottolio di piatti e bicchieri che venissero lavati. L'uomo si presentò come "il barista di Cava della  Piaggia".
Dopo essersi presentato tacque, come se la semplice menzione di cotale titolo bastasse per qualificarlo agli occhi di chiunque. Io chiesi urbanamente cosa desiderasse da me il barista di Cava della Piaggia. La voce, un po' indispettita (di che?) mi chiese se conoscessi.... e mi fece un nome mai udito in vita mia. Io risposi che non conoscevo nessuno così intitolato, mentre in sottofondo si udiva una voce maschile sempre più agitata. Il barista cominciò un discorso in perugino un po' confuso, da cui credetti di intuire che qualcuno era andato al bar, aveva consumato, non aveva i soldi per pagare ed aveva fatto il mio nome come garanzia (di che?). Ma non sono neppur sicura che il succo della faccenda fosse questo. Forse era qualcuno che aveva fatto il mio nome per raccomandarsi di qualcosa... il sedicente barista di Cava della Piaggia parlava un perugino talmente stretto da risultarmi scarsamente comprensibile.
Per farla corta, io conclusi la conversazione dicendo che non conoscevo né il barista né la persona che mi aveva nominato, e chiusi la comunicazione.
Era sera tardi e andai a letto.
Parlandone il giorno dopo con Tarquinius, lui approvò il fatto che non mi fossi vestita e non fossi andata a Cava della Piaggia a vedere di chi mai si trattasse. "Speriamo che non fosse una tua conoscenza che stava per essere uccisa, magari per non avere pagato una partita di droga, e che tu non fossi la sua unica speranza", concluse, iettatorio. Io lo mandai a cagare, dicendo che non conoscevo gente che commerciasse in stupefacenti; ma qualche giorno dopo, recandoci dalla E 45 verso il quartiere di Perugia dove una volta si trovava l'ospedale, passammo per il minuscolo agglomerato di Cava della Piaggia e ci fermammo allo squallido baretto a bere un caffè.
Conoscevamo il toponimo perché una volta, tanti anni fa, Cava della Piaggia era il capolinea di una linea di bus della città, non perché ci fossero bellezze incommensurabili od attrazioni immarcescibili. (Di fatto, sospetto che l'unica attrazione locale sia il barettaccio). Ci servì due caffè (straordinariamente buoni) una coniglia rumena, che ci informò che il bar era di sua proprietà: lo aveva acquisito un paio d'anni prima al vecchio proprietario, che si era ritirato in campagna ed era morto qualche mese dopo.

Mah.