Parafrasando il titolo d’un deprimente romanzo di Fernanda Pivano (dal titolo Cos’è più la virtù) m’è venuto da chiedermi “Cos’è più la femminilità?”. Per voi umani, naturaliter; i gatti questi problemi non se li pongono. In un’epoca come la presente, in cui – almeno apparentemente – sembrano superati gran parte degli stereotipi legati al genere, ha ancora senso parlare di atteggiamenti tipicamente maschili o squisitamente femminili, di sentirsi uomo o sentirsi donna?
Certa del fatto che trattasi se va bene di domanda retorica, se va male di interrogativo esistenziale senza capo né coda né risposta passabilmente intelligente (del tipo, per intenderci, “Qual è il senso della vita?” oppure “Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?”- e soprattutto, aggiungo io, “Ci sarà posto?”) e sperando di trovare una risposta illuminante, mi sono riletta il romanzo-denuncia di Laura Paoloni, Secondo natura, edito da Tullio Pironti nel 1987.
L’autrice era (nel frattempo molta acqua è passata sotto i ponti) la compagna di Gabriele Anderini, ex-Rosalba, il transessuale perugino che alla fine degli anni Ottanta fece molto parlare di sé per essere stato/a il primo/a, in Italia, ad aver osato dichiarare pubblicamente il dramma della propria diversità. E qui diventerò retorica, temo; trappola inevitabile quando si viene a parlare di problemi sociali. Di problema sociale si tratta, infatti, e non di un romanzo intimista sul privato dramma di Anderini Rosalba, teso a solleticare la curiosità più o meno morbosa di tanti fruitori del libro sensazionale; di una dichiarata denuncia dell’emarginazione in cui si trova rinchiuso il “diverso”, anzi, il più diverso dei diversi, il transessuale o transgender – e chi sceglie di condividere la sua sorte.
A scanso d’equivoci, chiarisco subito che, per quanto mi concerne, l’enigma-Gabriele (Enigma era il primo titolo del romanzo) tale era e tale è rimasto. Per me, almeno. Sarà che sono una gatta, ma mi sfuggono i termini del problema. Che cosa abbia spinto Rosalba Anderini a percorrere il calvario (perché di vero e proprio calvario si tratta) che la avrebbe condotta alla tanto sospirata identità maschile, ebbene, io non l’ho capito. E non perché io giudichi le scelte altrui: mi chiedo solo che cosa hanno i maschi di tanto migliore delle donne da spingere una donna a volerlo diventare, a costo di inenarrabili sofferenze. E se è per questo, che cosa ha uno qualsiasi dei due sessi di migliore dell’altro?… Confesso di aver pensato, ad un certo punto, che Rosalba Anderini avesse voluto passare dalla parte del più forte una volta per tutte, per eludere la faticosa, scomodissima ed infinita lotta delle donne; ma dopo la lettura del romanzo l’ho escluso; e mi sento di poter escludere anche qualsiasi malafede del personaggio: Rosalba ha portato avanti il suo progetto in piena consapevolezza e buona fede. Ma vediamo come.
Il romanzo ripercorre, in prima persona, la vicenda di Rosalba sin dall’infanzia perugina, quasi felice, passata sulle strade dei quartieri del centro storico negli anni Cinquanta. Famiglia povera, ambiente ristretto, madre affetta da tirannico vittimismo (fallica, direi), sorella frivola ed incomprensiva e tenerissima figura paterna che però risulta piuttosto assente (“Il babbo ci lascia libere di fare quello che vogliamo, mica come la mamma…”), prima per motivi di lavoro, poi per definitivo allontanamento fisico (cacciato di casa per la relazione con una “donnaccia”, muore poi miseramente in ospedale). Sarà stato, per dirla in termini psicanalitici, il confronto tra le negative figure donnesche – che cercano d’imporre a Rosalba una femminilità tradizionalmente intesa – e la figura maschile apparentemente più positiva che provoca i primi malesseri della bambina e le fa balenare l’idea di una certa superiorità dell’uomo? Sta di fatto che Rosalba mostra, almeno nella prima parte dell’opera, d’identificare la donna con la compostezza, la sottomissione, la fragilità, la cucina ed i lavori di cucito; e l’uomo con la forza, la sicurezza, la vivacità, le cose più divertenti (“sembri un maschiaccio, vuoi sempre fare il capo”). Rosalba mostra di aver recepito ed assorbito prefigurazioni tradizionalmente codificate… e percorre tappe più o meno scontate: scuola, collegio, innamoramenti – sempre di ragazze -, che tenta di contrastare con l’auto-imposizione di una identità “femminile” con tanto di abiti civettuoli, tacchi a spillo e frequentazione di uomini. Alfine il matrimonio, con tale Aldo dipinto come un bieco figuro, impostosi per sfuggire alla folle passione per una insegnante; la vita della casalinga, due figli non voluti, i contrasti col marito padrone e la suocera borghese; la laurea in sociologia, il lavoro – esaltante, almen quello – in un carcere a Roma. Ciò che giganteggia sullo sfondo è l’Io-narrante; sembra che le vicende, i discorsi e gli altri personaggi spuntino all’orizzonte e gli girino attorno come un incubo. Il dialogo interno è pressoché ininterrotto, non è che manchino i discorsi diretti, ma sembra che ci sia scarsità di scambio di battute fra il protagonista e gli altri; voci e volti come uno schermo che gli/le fila davanti a gran velocità.
Poi Rosalba incontra Laura, una ragazza della ricca borghesia perugina, che scrive; e se ne innamora quasi subito. E’ Laura che propone la sua verità: Rosalba non è lesbica, Rosalba è un uomo, intrappolato in un corpo femminile. “Con il viso che hai, e l’animo di un angelo, io ti chiamerei Gabriele, messaggero di Dio, e non per un senso ‘chiesastico’, ma solo perché gli angeli non hanno sesso…”. E qui cominciano i dolori, perché Rosalba va a vivere con Laura e chiede il divorzio da Aldo, il maritaccio; i figli sbalorditi e sconvolti (ci credo, due babbi e manco una mamma), la città che bolla le due amiche come omosessuali e le fa oggetto di persecuzioni, morali e talora fisiche, a non finire. La Mamma, che all’epoca era amica di Laura, me l’ha raccontato: topi morti nella cassetta della posta, gomme squarciate, articoli velenosi sui giornali locali…E Gabriele, nelle numerose interviste che rilascia (al programma di Maurizio Costanzo, da Enrica Bonaccorti), rifiuta di considerarsi omosessuale.
“Omosessuale è un uomo che ama gli uomini, o una donna che ama le donne. Ma la vera lesbica, pur amando le donne, si sente donna, è contenta di essere donna” spiega. “Io odio il mio corpo di donna, mi sento uomo, voglio essere uomo…”
Ma perché?
Perché non accettare la propria sessualità? Capisco l’omosessualità; sei uomo e ti piacciono gli uomini, e mi sta bene, ma perché squarciarsi e sbudellarsi, oltre che farsi ridere dietro da tutta la nazione, per aspirare ai ruoli e ai privilegi dell’altro sesso?
Qual è stata la molla che ha spinto Rosalba a non accettare la sua identità e la sua omosessualità? La negatività delle figure femminili che ha conosciuto sin da piccola? O la ristrettezza, l’arretratezza mentale dell’ambiente, che talvolta ancora oggi, quando si trova davanti a una donna intelligente, vivace, coraggiosa, decisa, sostiene che “doveva nascere uomo”? Laura diceva che magari, se Rosalba fosse stata educata in maniera più liberale, avrebbe forse accettato la propria sessualità, e che è un fatto provato che parecchi transessuali vengono da substrati poveri ed arretrati…
Forse. Giacché molti uomini e donne crescono in ambienti sottosviluppati e degradati, ma non tutti vanno incontro ad un destino tanto bizzarro. Una cosa, però, è certa: si tratta di un problema che va rispettato, anche quando (come nel caso mio) non venga compreso, e che deve trovare una soluzione, in quanto il caso di Rosalba-Gabriele non è isolato. Benché oggi, a quanto dice la Mamma, faccia meno scalpore, sia l’omosessualità sia il transessualismo. Meno male, dico io.
La storia di Gabriele è narrata con delicatezza, senza morbosità, chi si aspetti di trovarvi scene erotiche sta fresco; e non è nemmeno privo di spunti comici e di qualche caduta nella retorica sociologica, specie nella seconda parte. Laura Paoloni, la donna di cui la Mamma ha perso le tracce da anni, non era nuova alla scrittura: prima di Secondo natura, aveva pubblicato due raccolte di poesie dal titolo Pelle di luna e Momenti di lotta...
A proposito (... di che?...): ma questo non è il centesimo post?
Auguri a me!