venerdì 23 maggio 2008

Blacky Horror Picture Show

Avete mai fatto uno psicotest? Che non è un test per vedere quanto siete psicopatici (o psicotici, a seconda), ma un test di personalità serio, non quelli fatti dalle riviste femminili od adolescenziali o – peggio ancora – via SMS, per valutare quanto voi e il vostro fidanzatino siate compatibili a seconda dei vostri nomi di battesimo.
O del vostro segno zodiacale. Che non so quanto sia peggio.


Fondamentalmente ci sono due tipi di test:
- I test oggettivi (inventari, questionari, rating scales) che offrono al soggetto degli stimoli ben definiti e richiedono risposte limitate (a scelta multipla, vero/falso…);
- I test proiettivi, che presentano uno stimolo ambiguo, partendo dal quale il soggetto può sbizzarrirsi in un mare magnum d’interpretazioni… e lo psicologo sfantazzarsi in una caterva di diagnosi sulle vostre turbe mentali, se ce l’avete.
Penso che tutti abbiano almeno una volta inteso nominare il Test di Rorschach, un proiettivo che utilizza dieci tavole con macchie d’inchiostro che servono come stimolo alla produzione di associazioni e d’immagini. Meno noto forse è il T.A.T. (Thematic Apperception Test), elaborato negli Anni Trenta, che consta di 31 immagini in bianco e nero (riproduzioni di quadri, di fotografie, disegni assortiti), che vengono presentate al soggetto, al quale si chiede di costruirci una storia intorno. Lo psicologo dovrebbe, in seguito, trarne indicazioni relative alla struttura emotiva e cognitiva del paziente, ai suoi bisogni inconsci, ai suoi meccanismi di difesa e così via.
Quando seguivo un seminario di Psicodiagnostica, però, io ho partecipato ad un seminario sui "Blacky Pictures" e sono stata incaricata di somministrarle ad un familiare per vedere come si utilizzavano. Tornata a casa con le fotocopie delle tavole sotto braccio, ho trovato mio fratello Edoardo, l’avvocato, e l’ho usato come cavia. Il che, per un gatto, è già vagamente offensivo; ma quando poi la malefica bestiaccia ha visto di che si trattava, ha dato in escandescenze, perché il test è formato da 11 tavole che hanno per protagonista il cane Blacky… UN CANE!!! e già qui Edoardo è andato in deliquio perché lui odia visceralmente i cani… e ognuna di queste tavole presenta una situazione in cui Blacky si trova (con la mamma, col fratellino Tippy, mentre osserva i genitori, mentre tiene in bocca un collare, con un cagnolino di legno…), che dovrebbero dare allo psicologo (ma non a me, evidentemente) informazioni sullo sviluppo psicosessuale del paziente.

S'impone, a questo punto, che io faccia un passo indietro per spiegare la ragione delle reazioni inconsulte di mio fratello. Nove anni fa, come ho già narrato, Edoardo si ammalò di tumore al fegato e praticamente ogni settimana veniva condotto dal veterinario per subire trattamenti a suo dire crudeli, inumani e degradanti (che tuttavia gli hanno permesso di sopravvivere lunga pezza). Un pomeriggio si trovava con la Mamma nell’anticamera dell’ambulatorio, chiuso in una gabbietta, abbandonato come uno straccetto e con l’occhio fisso e giallo, tanto che aveva attirato i commenti pietosi di tutti i presenti. Un cagnolino si avvicinò alla gabbia, probabilmente per annusarlo amichevolmente; a questo punto il moribondo fece un balzo, emise un soffio potente e colpì le sbarre della gabbia con inaudita energia, tanto che il povero cane fuggì a coda bassa e gli astanti applaudirono; dopo di che, si rimise a fare il morto.

Le tavole che presentano immagini del cane Blacky dovrebbero spingere il paziente a fare commenti e a scegliere quelle che piacciono di più e quelle che garbano meno; in un secondo momento lo psicologo chiede al soggetto di dividere le tavole in due categorie: quelle che più piacciono a lui e quelle che più sarebbero di gradimento del cane. Quest’ultima consegna è sottile, perché sovente il soggetto, allo scegliere la tavola più simpatica per sé, fa emergere il cosidetto "Falso Sé": la scelta è di solito dettata dalla convenienza, da "ciò che sarebbe bene scegliere", dal desiderio di far bella figura… mentre, nell’indicazione di ciò che più garberebbe a Blacky, si sente meno responsabilizzato e finisce, in pratica, per scegliere la tavola che veramente gli piace di più... o più lo turba.
Molte domande che poi sono poste al paziente hanno lo scopo d'individuare la presenza di meccanismi di difesa (= strategie volte a ridurre l’ansia)… e quando Edoardo, alla vista delle tavole, ha cacciato un ululato selvaggio ed è schizzato sul soffitto peggio di Gatto Silvestro, ho creduto d’intuire in lui una serie di massicce operazioni difensive…

mercoledì 21 maggio 2008

Le Ametiste del Nilo, Le Palme della Luna e il Genius loci


Stagno
Inserito originariamente da susannucciauccia

Il gruppo di danza orientale “Le Ametiste del Nilo” è formato da cinque ballerine feline, come già ebbi occasione di raccontare, ciascuna col suo nome, il suo pseudonimo, il suo lavoro… e le sue stramberie.
Già ho avuto modo di accennare al carattere peculiare di Maysa la lince. Non è cattiva, peraltro: è affetta dalla malattia di Tourette ed il suo matrimonio con il pondenco ibicenco Ramon Llull Costa i Llobera non è dei più felici, elementi che ogni tanto la fanno apparire più ringhiosa del dovuto. Un’altra delle cinque affascinanti bajadere è la gatta selvatica Almasilvia Deogratias, in arte Fahranaz, che possiede una piccola azienda agraria gestita con metodi bio.
Gatta selvatica lo è di nome e di fatto (non che Maysa sia cordialissima, ma Almasilvia la batte): tutte le volte che sono andata a trovarla, stava seduta accanto allo stagno (lo Stagno Maddalena, di cui abbiamo una diapositiva) e pensava. Credo d’aver sentito pochissime volte la sua voce, anche se poi è stata gentile, è entrata in casa, ha apparecchiato per due e mi ha offerto zuppa di cereali con pane nero d’avena, fatto da lei (pure buono) e, durante la cena, ha lasciato sempre acceso un lettore CD che suonava musiche tradizionali persiane.
Maysa, che evidentemente è più in confidenza con lei, mi ha raccontato che si è aggregata al gruppo da un anno: prima danzava (si fa per dire) in un altro gruppo di bellydancer, “Le Palme della Luna”. Quando è confluita nelle Ametiste, ha faticato un po’ ad essere accettata – spesso capita, nei gruppi. Ha raccontato a Maysa che aveva iniziato ad andare a lezione da una bravissima danzatrice del ventre, in arte Ilanah Parvanah (che in realtà era dell’Ecuador e si chiamava Marisela Pinto Flores). Il primo anno tutto era filato liscio: la ballerina, che teneva lezioni presso un Centro Anziani denominato alquanto sinistramente “Il viale del tramonto”, aveva istruito lei e le sue compagne sull’uso del velo, dei cimbali e della sciabola. In seguito non aveva più insegnato loro nulla (anche perché null’altro sapeva, secondo Maysa), ma aveva continuato per anni a far ripetere le stesse stantie coreografie senza proporre alcunché di nuovo, tanto che le serate erano all’insegna della noia più profonda. Tale ripetizione era motivata dal fatto che Ilanah Parvanah usava le sue allieve per esibizioni in locali e sagre… per le quali percepiva profumati compensi, che però non divideva con le sue odalische. Talvolta organizzava spettacoli per eventi particolari (per cui richiedeva la partecipazione delle due più carine) e in quel caso dava un compenso anche alle allieve; ma Almasilvia non era mai stata compresa in alcuno di detti spettacoli, in quanto era molto più vecchia delle sue compagne e la furba ecuadoriana trovava sempre il modo di lasciarla fuori. Non ci sarebbe stato gran che di male in tutto ciò… se non fosse stato che Ilanah Parvanah continuava a farsi pagare mensilmente, come se, invece di un corpo di ballo, fosse stata ancora una scuola e lei avesse continuato ad insegnar loro qualcosa.
- Alla fine s’è scassata, Almasilvia, ed è venuta da noi – aveva concluso Maysa (meglio tardi che mai, avevo pensato io; che cosa mai spinge qualcuno ad aggrapparsi ad una relazione, ad una famiglia, ad un gruppo che palesemente ti è ostile?…).

Quando Almasilvia si è aggregata alle Ametiste del Nilo, ha un po’ faticato ad inserirsi. Almasilvia è scostante, come s’è detto, e questo non aiuta mai; ancor meno se il gruppo in cui devi inserirti è già formato e definito, giacché i suoi componenti si vedono come parte di un qualcosa che è perfetto e che non necessita di aggiunte. Altro che

Aggiungi un posto a tavola, che c’è un amico in più;
se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu…

Se in un insieme definito arriva un componente nuovo, è necessaria una ristrutturazione e non è semplice, soprattutto se il branco non ha voglia di ristrutturarsi. Il nuovo amico non viene sic et simpliciter assimilato: bisogna de-strutturare tutto l’ambaradan
E’ come se il gruppo fosse qualcosa di distinto dal resto, un involucro che ti separa dagli altri. Se però ha elaborato una sua identità, diventa flessibile, perché sa chi è: quindi non è necessario irrigidirsi, chiudere i confini per non far entrare gli altri, sentirsi feriti e sconvolti se succede qualcosa di nuovo e impreveduto (va’ a spiegarlo al Ministero degli Esteri; o agli abitanti di certe cittadine di provincia...).
Fra il gruppo e l’esterno non ci dev’essere un muro, ma una porta; e le porte, si sa, sono fatte per essere oltrepassate, o no?
Mi affascinano, a me, le porte.
Responsabile delle ristrutturazioni in un gruppo è il Genius loci o tessitore dell’identità sincretica.
L’identità sincretica è qualcosa di irrazionale, una socializzazione senza regole definite, un legame nascosto tra i membri del gruppo. Il Genius loci non è il capo del gruppo, ma è colui o colei che è custode del patrimonio affettivo, che “inventa le forme dello stare insieme” (secondo il prof. Claudio Neri), ma senza parole.
Uno dei compiti del Genius loci è far sì che un nuovo amico sia accettato dal gruppo; perché, se il gruppo si sente senza identità e si sclerotizza, entra nella modalità “attacco e fuga”… e allora sono volatili amari.
Non c’è più la porta, ma c’è la muraglia.
Le Ametiste del Nilo hanno accolto Almasilvia… oddìo, ci hanno messo del tempo, ma con l’aiuto del Genius loci (Fabia, la dolce Aysel?) Fahranaz è stata inglobata ed è andata abbastanza liscia. All’uscita delle prove, la prima sera dell’ingresso di Almasilvia, Fabia è salita sulla sua Vespa e si è allontanata cantando; e per le vie del centro storico, sotto la luna, si udiva la sua voce che si perdeva lontano.

Domani s’incomincia un’altra volta,
la vita insieme a te sarà sepolta…

Adesso Fahranaz fa parte del gruppo in maniera stabile e piuttosto tranquilla. La ristrutturazione c'è stata; nessuno ha attaccato nessuno (almeno per ora); le Ametiste si esibiscono, a mio avviso, abbastanza indecorosamente. Il Genius loci si è dato da fare, ma non sempre ci è riuscito; un giorno o l'altro vi racconterò le vicissitudini del corpo di ballo dalle origini ai giorni nostri.

Stasera no, devo andare a vedere una puntata del dottor House.

sabato 17 maggio 2008

Fine della Pizzeria Ternana

Io sono nata a Marsciano, nella Pizzeria Ternana; ve l’ho già raccontata la storia della Mamma che mi ha pescata da un cestino scarlatto esposto sopra un tavolo del locale, una mattina di novembre del 1995.
La Mamma ci andava spesso, alla Pizzeria Ternana. Da sola, con me, con gli amici. Spesso sono andati lì a pranzo nell’intervallo tra la fine delle lezioni e una qualche riunione scolastica – la scuola non era tanto lontana dal centro storico. Seduti ad un tavolo d’angolo, vicino alle spesse tende a fiori verdi e rossi appese sopra le finestre di legno di pino, a separare la zona pizzeria dalla zona caffè, a separare il locale dalla cucina, gustando le focacce con i funghi colti dai proprietari sul Monte Peglia (e che colpo è venuto, allo Zio Panda, quando ha saputo di aver mangiato dei funghi! Lui non se ne fida; la Mamma ride). Spesso ci capitava per mangiarsi una pizza al volo, un supplì, del merluzzo fritto. Dice che ha cominciato a lavorare a Marsciano e che per lei quel periodo è legato alla Pizzeria Ternana.
Io invece lì ho cominciato a vivere… figuratevi per me, per Ibadeth e Tarquinius, e per mia sorella Megalo, quanto può essere significativo quel posto. Ci siamo nate, ci abbiamo organizzato feste di compleanno, di fidanzamento, di matrimonio! (Ibadeth e Tarquinius, of course).
La Mamma andava sovente anche alla Pizzeria "Al Tre"… che ha chiuso da molti anni, ormai.
Ed ora ha chiuso anche la Pizzeria Ternana. Dapprima ha cambiato gestione – rilevata, qualche anno fa, dai genitori di Francesca e Anna Laura, che l’avevano lasciata identica, nell’arredamento e nel menù, salvo l’appetitosa aggiunta di specialità siciliane. Che non ci stava male. Anzi.
Ibadeth ed io ci siamo capitate qualche giorno fa e abbiamo visto che il locale è vuoto e in vendita; e ci siamo guardate come due sceme ("Come…?", insinua Edoardo; ma lui, si sa, è acido).
Non voglio mettermi a dire banalità (della serie che se ne va un pezzo della mia vita, che si è rotto qualcosa dentro, che finisce un periodo e così via in un crescendo di sentimentalismo da due euro).
Però le penso ugualmente.
Oh, le potrò pensare, o no?

sabato 3 maggio 2008

Gli incubi di Morgana


Susanna che studia
Inserito originariamente da susannucciauccia

Claustrofobia?

Vivo in una città arroccata su di un colle. Nel centro della città c'è una metropolitana: in una viuzza laterale c'è una scalinata racchiusa dai palazzi e, in fondo, all'imbocco della metropolitana, c'è una ringhiera che impedisce l'accesso ai treni. Dalle parti ci sono altissimi palazzi arancioni inizi Novecento. Io chiedo per quale motivo non vi aprono una stazione cosicché possa usufruirne la gente del posto, invece che mandarli a prendere il treno in periferia, e mi viene spiegato che ci sono ragioni politiche: vogliono solo far vedere che c'è la metropolitana anche lì, ma non vogliono che la gente ci salga, tant'è vero che da dietro la ringhiera si vedono sfrecciare i treni. All'inizio della scalinata, a sinistra, c'è un'imboccatura che dà su un giardino alberato in una piazzetta; nel giardino c'è un gazebo e io faccio notare che lì potrebbero starci benissimo la biglietteria e il distributore di merende. Più in su, prima del giardino, c'è una porta tutta rovinata: è della signora X, la mia vicina di casa. Io la lucido. Poco dopo scopro che una sorta di stazione c'è: il passaggio a metà scalinata dà su una piazzetta dove sta un'edicola di giornali. Io mi avvio verso l'edicola, un signore prende dei giornali, va verso i treni e se ne perde uno; io non so se l'ha fatto apposta, ma, esortata dall'edicolante, lo raccolgo, inseguo l'uomo e glielo do, con il risultato di fargli cadere anche gli altri. Qualcuno (?) mi dice che è morto Alfredino Rampi, che non era morto a Vermicino vent'anni fa, ma che la dottoressa l'aveva visto in faccia e aveva colto i segni della schizofrenia, e che in realtà è morto a trent'anni. Io salgo la scalinata e mi faccio molte domande.

Morgana Malimpensa è un'affezionata lettrice del blog, a quanto pare; oppure è solo una signora proclive a cibarsi, la sera, di cibi speziati e di laboriosa digestione... Ciò che risulta evidente da questo sogno è la sensazione di claustrofobia: le viuzze strette, la scalinata circondata da palazzi altissimi, la metropolitana cui non si può accedere, il ricordo di Alfredino (quel povero bimbo che morì, nel 1981, in un pozzo artesiano della campagna romana)... e, soprattutto, la menzione di cose che dovrebbero esserci e non ci sono: la stazione (del resto i treni sfrecciano!), la biglietteria, il distributore di merende. E' come se ci fosse qualcosa dentro, ma a cui non si può accedere...

Cosa?

E dentro dove?

Ma forse, dopo tutto, invece si può accedere: da una parte nascosta, da una parte laterale, da una parte da cui, di solito, non si accede... Poco dopo scopro però che una sorta di stazione c'è, ed è a metà della scalinata... C'è un'entrata, quindi, ma non serve quasi a nessuno. Perché ho la sensazione che si tratti dell'organo sessuale femminile? Sono forse assatanata?

Non credo. Ho il sospetto che Morgana abbia dei problemi per quanto riguarda il sesso: l'apparato riproduttivo c'è, ma non serve... Nessuno ne usufruisce perché non c'è l'accesso... o, per lo meno, è di difficilissimo rinvenimento. Del resto, dopo, appare una porta tutta rovinata, che Morgana lucida. La nostra amica è evidentemente desolata di questa impenetrabilità e cerca, vanamente, di porvi rimedio. Più giù, c'è un signore che tenta di entrare nella stazione (ahia), ma si perde i giornali per strada, lei lo insegue per restituirglieli e, come risultato, gli cadono anche gli altri.

Cerca di aiutarlo ad entrare o cerca di impedirglielo? Mah. D'altronde, se qualcuno tenta di entrare sottoterra, muore, come Alfredino Rampi nel pozzo artesiano; Alfredino che non è morto vent'anni fa, ma da poco, e la cui dottoressa lo aveva classificato pazzo...

Non oggi, che non ho voglia, ma un giorno o l'altro avrò parecchio da dire sulla rigida educazione sessuofoba che s'impartisce ancora oggi alle bambine... o sulla mancanza della medesima, come vorrebbero certi (soprattutto cattolici).

L'insopportabile innocenza, la chiamano.

Sì, la fava.


venerdì 2 maggio 2008

Le cose buone della vita


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Inserito originariamente da susannucciauccia

... sono anche quelle da mangiare (anche?...). Sono una pagana, mi pare d'avervelo detto N volte. Per questo vi raccomando questo locale.
Un negozio di pasta fresca come tutti gli altri?
Sembra.
Certo, se gli chiedi i cappellacci alla zucca (specialità ferrarese) o i classici cappelletti, te li fa anche nel sonno, sia chiaro.
Tuttavia, il look apparentemente dimesso del locale non deve trarre in inganno. Non è solo una gastronomia, bensì un laboratorio di sperimentazione culinaria.
Una fucina di rilettura della tradizione.
Vedi i celebri ravioli "Foresta Nera" (al radicchio e prosciutto tritato) che piacciono tanto all'otocione Jerry, tanto per dirne una.
O le crespelle vegetariane... o i dolci tipici re-interpretati.
A me piace molto entrare in quelle botteghe i cui proprietari si divertono a personalizzare i piatti della tradizione.
Mia sorella Megalo, qui, mi fa notare che io mi esalto solo quando si tratta di far pubblicità ai locali di roba da mangiare; e aggiunge, velenosa, che anzi: io mi faccio amica solo di gente che possegga botteghe di cibarie...
Gliel'ho detto che non deve frequentare mio fratello l'avvocato. Si lascia influenzare dalla di lui malevolenza.
Comunque, la bottega di cui vi parlo oggi si chiama "Le cose buone" (come si può abilmente intuire dalla foto; si trova a Ferrara, in via Ravenna 15/a (ovviamente, la strada per chi venga da Ravenna, ng ng ng!!!...). L'unica cosa negativa è che c'è poco posto per parcheggiare, lì di fronte.
Andate e sappiatemi riferire!

Lucky


Lucky
Inserito originariamente da susannucciauccia

Chissà cosa sta facendo Lucky. Sono varie settimane che non lo vedo.
Lucky vive in Toscana, nei dintorni di Pisa. La sua casa è il mio sogno, gliel'ho detto alla Mamma che vorrei anch'io una casa così, ma la Mamma sta ancora ridendo, non so perché.
La casa di Lucky è una villetta a vari livelli. E' circondata da un giardino e ha una mansardina che è la fine del mondo, moderna, con mobili chiari, ma con inserito qualche bel mobile antico.
Dalle finestre si vedono campi e verdi colline... o villette altrui. A seconda della finestra.
La famiglia di Lucky è composta da quattro persone: il padre, medico, la madre, pittrice, le due sorelle che vanno a scuola. La maggiore sensibile e delicata, la minore scanzonata e solare.
Lucky ha un diploma d'infermiere, cosa che è risultata molto utile durante le varie malattie delle bambine; ma all'Università ha optato per il giornalismo ed è stato corrispondente di guerra. E' andato in Iraq e, quando gli ho chiesto di raccontarmi quello che ha visto, è stato laconico: "Lascia perdere". Ha detto che è molto più tranquillo venire qui a fare servizi sul minimetro e sulle lotte che ci sono state in città tra gli oppositori al minimetro, i Luddisti Rimbambiti, e i Vigili Urbani.
L'ho portato sul minimetro e ha scattato delle foto panoramiche. Prima o poi me le manderà.
Che cosa fai, Lucky?