venerdì 1 febbraio 2008

Un fiore rosa


Maysa la lince non guida l’auto, viaggia con l'Ape Cross (già questo dà l’idea del tipo). Ora tuttavia l’infernale accrocco è in riparazione – tanto per mutare – talché ieri sera mi ha chiesto d’accompagnarla allo scalcinato teatrino dove lei e le "Ametiste del Nilo" fanno le prove per uno spettacolo di danze orientali, dedicato ai miti egizi.
Quando, dopo un paio d’ore, sono andata a riprenderla, era già fuori dal teatro (che si trova imbucato in un dedalo di viuzze squallide del centro storico appena lambite dai restauri) e mi aspettava nella piazza antistante insieme con un’altra danzatrice, Maria Grata Li Greci, che voleva anche lei approfittare del passaggio. (Maria Grata Li Greci è una gatta bianca siciliana, viene da Enna, nella vita fa l’anestesista alla U.S.L. e nel corpo di ballo danza con lo pseudonimo di "Shulamith"). Maysa aveva in mano un fiore rosa di cartone, un’approssimativa margherita del diametro di una trentina di centimetri, con il cuore giallo (un disco di cartoncino applicato al centro). Entrambe lo stavano guardando come se avessero trovato chissà che.
- Un fiore rosa – mi fa Maysa, e meno male che lo ha detto, che era rosa, sotto la luce dei lampioni pareva biancastro. La piazza è stata da poco restaurata e ripavimentata con pietra rosa chiaro, ai piedi della scalinata doppia di fronte alla chiesa hanno riadattato una piccola fonte e la luminosità dei lampioni al sodio dava a tutta la piazza un che di lievemente innaturale, come se stessimo all’interno di una conchiglia.
- Dove l’hai trovato? – le ho chiesto. Ha fatto un gesto vago. – Qui per terra - . Dall’altra parte della piazza c’era una piccola enoteca, decorata con festoni. – Verrà da qualche festa –
- Non ci vuol tanto a capire da dove viene – ha fatto Maria Grata Li Greci, buttando a terra la sigaretta che stava fumando, verso una macchina parcheggiata di fronte all’enoteca, decorata con altri sei o sette simili fiori ed altrettanti pezzi di bi-adesivo da cui se n’erano staccati in gran numero. Uno azzurro fra l’altro giaceva calpestato sul marciapiede. Maria Grata l’ha raccolto e riappiccicato sulla carrozzeria. Maysa non mostrava intenzione alcuna di fare altrettanto col suo.
- Magari è un buon segno – ha detto Maria Grata. – Può darsi – ha commentato Maysa, guardandolo pensierosa. Io non ho detto niente. Sotto la luce rosata, Maysa lo ha guardato ancora una volta e poi l’ha riposto nell’incavo del suo tamburello.
- Non ci credo, io, ai segni – Appunto, mi pareva. Di solito è molto pratica. – Però… sai quanto mi semplificherebbe la vita, crederci –
Mi pareva un po’ sconsolata. Chissà cosa ci ha. Comunque si è aggiustata la sacca sulle spalle e mi ha seguito. – Dai, muoviamoci – ho detto alle due odalische – Ho lasciato il break davanti ai bidoni della mondezza, in sosta vietata –

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