venerdì 29 febbraio 2008

Inibizione comportamentale a ciò che non è noto

Dovrei forse cambiare titolo al post precedente… o semplicemente vedere la cosa da un altro punto di vista (e che sforzo, per un gatto!!!). Dovrei pertanto domandarmi "Di chi hanno paura i Luddisti?"
Bella roba, invece che "io sono ok-tu sei ok" (il mantra dell’assertività), abbiamo "io ci ho paura di te-tu ci hai paura di me".
E’ abbastanza banale sospettare che i luddisti abbiano paura di qualcosa.
Ma di che?
Quando preparavo l’esame di Psicopatologia ho letto un libro dal titolo Biological bases of childhood shyness, del dottor Kagan, che parlava della cosiddetta inibizione comportamentale a ciò che non è noto. Sosteneva trattarsi di una caratteristica comportamentale innata in alcuni bimbi, che sono facilmente spaventati da qualsiasi cosa non sia loro familiare, che si sentono sicuri solo vivendo in un ambiente ristretto e sono messi in grande agitazione se nel loro piccolo mondo s’introducono delle novità (ma che, ha fatto i suoi studi a Perugia, il dottor Kagan?). Detti bambini sono di molto attaccati ai loro genitori, che vedono come figure protettive fin da quando sono molto piccoli; tuttavia, con il passar degli anni, si rendono conto che i genitori non possono star lì ventiquattr’ore su ventiquattro a proteggerli da tutto, diventano nervosi quando si sentono trascurati e proiettano sui genitori la propria ansia interna: non sono loro che sono ansiosi, ma sono i genitori che sono inaffidabili! La cosa suscita in loro sentimenti di rabbia, che peggiorano la situazione perché i bambini si sentono in colpa per essere rabbiosi e temono di far scappare i genitori ancora più lontano… Insomma, poveri bambini, come fanno ne manca un pezzo.
Che siano così, i luddisti? Bimbi che hanno paura di ciò che non conoscono?
Ma dice che sono così anche i razzisti… Che odiano gli stranieri perché in realtà ne hanno paura… perché sono diversi da loro…
Ma dice che anche gli omofobi… dice che odiano gli omosessuali perché in verità li temono… o temono di essere loro stessi omosessuali?
Boh. Mi fuma il cervello. Sono solo una gatta, dopo tutto.
Più ci studio e meno ci capisco.

domenica 24 febbraio 2008

Chi ha paura dei Luddisti?

Io, ogni tanto. Oddìo, proprio paura, no. Mi chiedo - o fingo di chiedermi, lo so benissimo - perché si comportano come si comportano, pensano quel che pensano, dicono le scemenze che dicono. Un'idea ce l'ho, del perché lo fanno...
Voi sterminati lettorazzi del blog vi starete chiedendo "Che cosa mai va cianciando codesta micia?" I luddisti, davvero. Almeno i Buddisti. No, i Luddisti, tanto bene. E chi sono?
Prima di spiegarvelo, vi voglio raccontare un paio di apologhi.

Thot, lo scriba degli dei
Thot è fra gli Egizi una divinità lunare, lo scriba degli dei, il latore dei loro messaggi presso la comunità degli uomini. E’ grazie a lui che la scrittura sacra, nota col nome di geroglifica, è stata portata a conoscenza dell’umanità.
Quando ancora non era stato introdotto l’alfabeto fonetico, la pratica della scrittura era un’arte molto difficile e la sua conoscenza era strettamente legata alla carriera pubblica: il faraone sapeva leggere e scrivere (figurarsi) e così i funzionari, i governatori e i sacerdoti; in breve, solo una minoranza di persone poteva accedere all’arte della scrittura.
Un mattino il dio Thot decise di andare a trovare il Faraone Amon, noto per i suoi oracoli, per sottoporgli alcune sue invenzioni che, secondo lui, avrebbero dovuto far progredire l’umanità. Il faraone Amon lo ascoltò incuriosito; ma quando il dio Thot arrivò alla scrittura, il faraone gli espose le sue perplessità.
Disse Amon che l’invenzione delle lettere scritte, dispensando gli uomini dall’esercizio della memoria, avrebbe condotto all’oblio, in quanto essi avrebbero ricercato il ricordo nei caratteri scritti, e non dentro di sé. Inoltre la scrittura avrebbe potuto dare agli uomini la possibilità di accedere ad un’abbondante informazione senza alcun insegnamento (e meno male che non gli aveva proposto Internet) ed essi avrebbero avuto l’illusione di possedere una grande scienza, che non sarebbe stata però veramente loro. La parola scritta, insomma, provocando nell’uomo un atteggiamento di passività, ne avrebbe impigrito la memoria: potendo costantemente ricorrere al testo scritto, l’uomo avrebbe trascurato il vero strumento della ricerca della verità, che è il dialogo.
Thot però non si lasciò scoraggiare e ribatté che in ogni caso anche una conoscenza illusoria era meglio di niente, giacché la memoria umana è limitata e non si può pretendere che la scienza si fermi solo a ciò che un singolo uomo può ricordare. Concluse che ogni nuova scoperta ha in sé lati positivi e lati negativi e che in ogni caso il rischio deve essere corso. Così il faraone Amon e gli uomini accettarono il dono della scrittura.


Hai capito, il faraone? Se era per lui, stavamo ancora a tramandarci a memoria quattro bischerate quattro... Fa il paio con Zeus, re degli dei, che nel mito che segue si aggiudica la palma di Luddista Scassacazzi Serie Oro.


Prometeo e il fuoco

Prometeo, il cugino del re degli dei greci Zeus, un giorno lo fregò: durante un sacrificio aveva diviso in due parti un bue, da una parte aveva messo le viscere avvolte nella pelle dell’animale, dall’altra aveva disposto le ossa spolpate e le aveva ricoperte di grasso bianco, poi aveva detto a Zeus di scegliere la sua parte; il resto sarebbe andato agli uomini. Zeus aveva scelto il grasso bianco e, quando aveva scoperto che non nascondeva che ossa, infuriato (non del tutto insensatamente) con Prometeo e con gli uomini, aveva deciso di non inviare più loro il fuoco.
Da quel giorno non si accesero più i lumi nelle case, non divamparono più i focolari durante l’inverno e gli uomini cominciarono a morire di freddo; non si udirono più sulla Terra risuonare le incudini nelle fucine e gli uomini non ebbero più aratri, armi, utensili, ossia tutte le cose che si forgiano con il fuoco. Non era neppure possibile cuocere le carni e l’umanità regredì. Tutto per colpa di quel decerebrato di Prometeo che si era messo a fare lo spiritoso tanto bene con il re degli dei.
Allora Prometeo andò alla ruota del Sole e ne sottrasse alcuni semi, che regalò agli uomini. Un altro mito dice che Prometeo rubò una scintilla dalla fucina sacra del dio Efeso. In tutti i modi, ciulò il fuoco alle divinità che volevano tenerselo per sé. Zeus, imbufalito oltre misura, punì così il cuginastro: lo fece trasportare nella gelida terra di Scizia (il Caucaso), incatenare ad una roccia ed un’aquila enorme fu incaricata di lacerargli il petto e divorargli il fegato (mamma mia, che senso); l’organo durante la notte rinasceva, ma il giorno dopo l’aquila ripassava e lo divorava di nuovo. Pranzo assicurato vita natural durante, insomma.
Zeus giurò sullo Stige, il fiume degli Inferi, che non avrebbe mai liberato Prometeo dalla sua pena; ma aveva fatto i conti senza Ercole, che un giorno scagliò una freccia colpendo l’aquila al cuore e spezzò le catene con cui Prometeo era avvinto alla roccia.

Che c'entrano con i luddisti queste due storielle risalenti ad epoche oramai remote? C'entrano perché hanno in comune una cosa: quando si offre agli uomini una novità, che magari potrebbe alleviare loro le fatiche dell'esistenza e render loro la vita più facile, c'è sempre qualcuno che vi lancia contro strali ed anatemi.

Ma volete campare peggio, dico io?

Si dice che i luddisti derivino il loro nome dal fantomatico Ned Ludd, fantasma della prima rivoluzione industriale, un operaio di Leicester che nel XVIII secolo distrusse un telaio in una fabbrica inglese e fece una finaccia. Ned Ludd, non la fabbrica. Il poveretto divenne un simbolo della lotta contro lo sfruttamento dei padroni nei riguardi degli operai, ma a lui s'ispirarono anche quei pisquani che mostrano avversione per la tecnologia.

E i pisquani sono organizzati a vari strati: da quelli che giustificano la loro delirante idea con saggi ponderosi (scritti a mano su pergamena, mi auguro!) ai vecchietti del bar che sono usi sentenziar "se steva mejo quan se steva peggio".

Sì, la fava.




mercoledì 20 febbraio 2008

Lost in translation (ovvero: mi fanno una sega a me le tigri ircane)

Ultimamente giro parecchio per i blog altrui. Non sono mai stata una fanatica dell'undicesimo comandamento, io. Anche perché penso che la gente non si offenda, se ficco il naso nei blog; li scrive per quello, o no?
Sono capitata in un blog nomato "woozy.splinder.com". E' di recente formazione e per ora parla di traduzioni e di astronauti.
Che c'entreranno le une con gli altri, dico io. Sospetto che sia una storia come il manoscritto di Lacan: ci hanno scritto una cosa, poi l' hanno cancellata e ce ne hanno scritta un'altra sopra, ma ogni tanto qua e là la prima salta fuori. Penso che il Woozy voglia parlare di sé e dei suoi miti... Hemingway, bleerr.
In tutti i modi, disserta con arguzia sulle traduzioni fatte a membro di segugio... a spina di pesce... a coda di gatto... e solo lo spirito della Iris m'impedisce di scivolare nella volgarità finale. E io sono qui a fornirgli una traduzione a lisca di murena fatta dalla Mamma negli anni giovanili in cui lavorava (in nero) rivoltando (mai verbo fu più azzeccato: le traduzioni erano proprio rivoltanti) dallo spagnolo all'italiano.
Orbene: aveva fra le mani un testo del mistico cinquecentesco San Juan de la Cruz. Il tale doveva essere un po' disturbato, perché scriveva poesie dedicate all'unione mistica con l'Amato (sarà stato Gesù? speriamo bene...). In una di queste compariva la seguente frase:
"el adobado bino"
La Mamma va diligentemente a cercare nel vocabolario cosa vuol dire adobado e constata che vuol dire "carne di maiale marinata". Boia quant'era mistico questo, si dice, e va a vedere cosa significhi bino; scopre che è un verbo, binar, che significa "arare per la seconda volta". Per cui compone la frase più consequenziale della sua carriera di traduttrice:
aro per la seconda volta la carne di maiale marinata
e qualche dubbio le sorge.
Ora, non credo che l'abbia mai presentata, vorrei sperarlo, per lo meno.
Lo sapete poi cosa voleva dire el adobado bino? "Il vino profumato", giacché "bino" era la grafia antica per il semplice termine spagnolo "vino"... Questo lo so anch'io: è una parola che io e Ibadeth abbiamo proferito spesso, quando l'anno scorso siamo andate a Barcellona... Ricordate quel film di Verdone? Marisol e "il vino tinto della mamma..."?
Per quanto concerne gli astronauti, il giovane (?) Woozy parla di questi cavalieri con le tute argentate... e a me viene in mente "Help me", una canzone vagamente iettatoria dei Dik-Dik, in cui il povero astronauta vestito d'argento, McKenzie, fa una finaccia...
Alien: nello spazio nessuno può sentirti urlare.
Tié.

martedì 19 febbraio 2008

Te la do io la castrazione


L’altro giorno, in una pausa della preparazione della mia tesi di laurea (in Teorie e tecniche della dinamica dei gruppi, per chi vuol saperlo; argomento: il Genius Loci), navigavo in Internet e sono capitata in un sito di feticisti. Anzi, di una feticista, una tale che si definiva "mattaxisandali" (e mi ci è voluta una vita e mezzo per capire che la dicitura andava letta "matta per i sandali"). Mi è venuto da ridere perché ho pensato alla Mamma, che possiede quattrocento paia di scarpe, fra estive ed invernali… e a me, che non ne posseggo affatto.
Mi ci vedreste, a me, circolare con un paio di scarpe?
E soprattutto: perché ve le mettete?
Vabbè, lasciamo correre, si sa che io non abbondo in capacità di mettermi nei panni degli altri. I gatti ne sono carenti, dice.
Torniamo alla mattaxisandali. E alle scarpe della Mamma.
E’ feticista, la Mamma? La domanda sorge spontanea.
Mah.
Ricordo che fino a quattro anni fa non ce l’aveva, questa mania delle calzature. Prima acquistava scarpe in maniera più o meno ragionevole (tranne un anno in cui, sola e sbandonata a Palma di Mallorca, si prese un paio di scarpe rosa fucsia di due misure inferiori alla sua e per anni si auto-tormentò andandoci in giro… finché non si decise a disfarsene). Ignoro che cosa sia successo alla sua psiche quattro anni fa; del resto, era l’epoca in cui decise di dimagrire, si mise a fare la dieta e ad andare in palestra e in due anni perse diciotto chili. Tuttavia la faccenda della dieta sarebbe quasi normale: era un po’ cicciottella, ci aveva il colesterolo alto, stava seguendo una terapia psicanalitica e le era aumentata l’autostima. Tutto regolare, Mamma (direbbe il povero Ed McBain).
Ma le scarpe? Perché ha cominciato ad acquistarne quantità industriali?
Mah.
Un’altra cosa strana che fa la Mamma è che le lava. Le scarpe, intendo. Non che le metta in lavatrice… oddìo, una volta l’ha fatto con un paio di stivaletti di jeans e le si sono distrutti, cosa per cui ha elevato al cielo alti lai (e per cui lo Zio Panda l’ha presa per il culo in saecula saeculorum). No, le lava sotto, le spolvera e le profuma internamente. Dice che ha il folle terrore che le puzzino i piedi.
E anche se fosse, dico io. A me la puzza dei piedi piace.
Sostiene di avere avuto un trauma un giorno in cui, a scuola, durante una riunione col Dirigente Scolastico e alcune colleghe, aveva assistito agli attacchi rabbiosi di una collega di sostegno che strillava in posa scomposta, mostrando un paio di stivali sudici e puzzolenti… anche se non è sicura che fossero proprio puzzolenti, ma che erano sudici e lisi ne è certa; tanto che si era oscuramente chiesta come facesse la gente ad avere così poco rispetto di se stessa da andare in giro in quel modo.
Insomma, ha la fobia della puzza dei piedi. Per cui si torna alla vexata quaestio: sarà feticista, la Mamma?

Il dottor Freud ha scritto un articolo sul feticismo. Che cosa dice, in breve?
Cominciamo dalle pulsioni.
Dunque: ci sono le pulsioni. Dette pulsioni sarebbero delle energie psichiche, delle forze che ti spingono a fare la tale o la talaltra cosa. Ce ne sono una marea, ma si possono raccogliere in due categorie: la libido (pulsione sessuale) e l’aggressività (pulsione distruttiva). Tutte e due le categorie devono essere dirette verso un oggetto e devono avere una certa carica (la cosiddetta catexi), se no non si disturbano nemmeno a spostarsi.
La formazione del feticismo attraversa tre fasi.

PRIMA FASE: LA REPRESSIONE DELLA PULSIONE
Nella prima fase c’è una pulsione verso un oggetto di tipo "anale", il che non vuol dire che abbia a che fare necessariamente col culo, ma che sia di tipo coprofilico e che abbia a che fare con la pulsione di annusare. I bambini hanno la pulsione di odorare per esempio le dita dei piedi, le ascelle, il sedere… E non ci vedo nulla di male! Quando mi presentano qualcuno, per prima cosa vado ad annusargli il culo e, se costui si sottrae, vuol dire che non intende essermi presentato… Invece la Mamma, se le presentano qualcuno, gli stringe la mano. Mah.
Certo, la Mamma ad annusare il culo a qualcuno non ce la vedrei. Dovrebbe innanzitutto abbandonare la stazione eretta e già ci ha la sciatalgia, poveraccia.

SECONDA FASE: LA RIMOZIONE
Sopravviene il disgusto e la pulsione di odorare viene rimossa… ma non del tutto! Si rimuove il piacere di odorare e rimane l’attrazione per la cosa, ora priva di qualsiasi profumo o puzza. La cosa viene idealizzata ed elevata a feticcio (= oggetto sessuale del tutto inadeguato per servire ad una meta sessuale normale). Della serie: ma che ci avete contro le puzze? L’uomo è l’unico animale che non sopporta il proprio odore!

TERZA FASE: LA SCISSIONE DELL’IO
La povera pulsione odorosa viene acciaccata e prende due strade opposte: da un lato, la repressione del piacere, dall’altro l’idealizzazione di un suo frammento (odore no, vista sì. Beccati questo).

Perché succede ciò? Mica tutti diventano feticisti, no?

Dice il dottor Freud che tutta la faccenda parte dalla paura che ha il maschio dell’evirazione.
Che mania, anche quella.
Il feticcio sostituisce il pene, dice. In che senso?
Il piccino ha visto l’organo sessuale della donna (la mamma, un’amichetta…) ed è rimasto scioccato: non c’è il pene! Che cosa è successo? Glielo hanno tagliato!
Spiegargli che la vagina è un’altra cosa no?
Insomma, il bimbo pensa che le donne abbiano subito l’evirazione e la cosa comprensibilmente lo disturba, perché – pensa – così come l’hanno tagliato a lei possono tagliarlo a me! Ausilio!!!
Succede allora che:
a) si conserva la percezione;
b) si rinnega ciò che si è visto.

Insomma, l’hai visto o non l’hai visto? Sì e no. Chiaro, no? Nel pensiero primario, che è arcaico e primitivo, può anche essere. Le cose le puoi condensare, le puoi allungare, le puoi accorciare, le puoi far scivolare sopra altre cose, puoi trovare le percezioni che la cosa ti aveva trasmesso, ma non la cosa… hai voglia quante belle cose puoi fare, col pensiero primario. Magari non ve lo consiglio, perché è psicotico, ma le leggi della logica e della fisica sono signorilmente ignorate.
Per cui: l’ho visto, ma non l’ho visto.
O forse ho visto qualcos’altro.

A questo punto, l’interesse del bimbo si sposta su un’altra cosa a cui il pene (che ha visto e non ha visto) assomiglia - si fa per dire. E quant’è bella, questa cosa! Che sballo! La voglio, la cerco, la bramo, la compero, la rubo, gli faccio di tutto, e della vagina non me ne può fregar di meno.
Mi sono messo al riparo dall’evirazione.

Corollario
(non so quel che vuol dire, ma mi piace la parola. Mi fa pensare alle corolle dei fiori)
Insomma, agli uomini piacciono le scarpe: a) perché da piccoli si annusavano i piedi puzzolenti e ne traevano estasi e beatitudine; b) perché han visto la mamma gnuda e hanno avuto una strizza boia che gli tagliassero il pisello.
Detto così suona demenziale, mi rendo conto.

Sì, ma… la Mamma?
Sorpresa sorpresa: interrogata, ha ammesso che da piccina si annusava in mezzo ai ditini dei piedini. Allora è vero! Ora odia la puzza dei piedi perché da piccola le piaceva! Ma… la castrazione? Avrà visto da piccola un pisello e si sarà sentita inferiore perché non ce l’aveva? Dice di no. Dice che la prima volta che lo ha visto era solo parecchio incuriosita. Dice.
In compenso, lo Zio Panda ha la fobia della puzza delle ascelle. E’ pulitissimo, lo Zio Panda; sta sempre a fare la doccia.
Che abbia avuto anche lui paura della castrazione quando ha visto per la prima volta la gnocca? Dice di no. Dice che non gli ha fatto impressioni particolari. Dice.
Non è nevrotico nessuno, in questa casa, che bellezza.






lunedì 11 febbraio 2008

Roundabout 2: il ritorno (dello storno)


Rotonda FIAT 2
Inserito originariamente da susannucciauccia

Ieri pomeriggio, dopo le prove con i Licaoni (dovevamo suonare la sera ad una festa a Greppolischieto), sono andata a prendere un aperitivo con mio fratello Edoardo e mia sorella Megalo (gli avvocati) ed un loro amico, un giornalista freelance di nome Lucky, che abita a Pisa, si trovava qui per un servizio ed era venuto a trovarli.
Premetto che offrivano loro: di norma quei due vanno in locali assai costosi che io di certo non mi potrei permettere e fanno l’”Happy Hour”, ovvero una gran mangiata di squisitezze in quantità minimali che pescano da un numero infinito di minuscole ciotole e alternano al sorseggiamento di variopinti beveroni dai colori incongrui contenuti in calici di altezze spropositate. Quello sarebbe l’aperitivo, dice Megalo; dopo, vanno a mangiare. Se ne hanno la forza e se c’è ancora posto, cosa di cui dubito.
In tutti i modi, è sempre un’esperienza vedere Edoardo e Megalo mentre mangiano. Quantunque abbiano ciascuno la sua ciotola e lo stesso cibo, ognuno tira a sé con decisione la ciotola dell’altro senza che l’altro mostri in alcun modo di esserne offeso; per tutto il pranzo dette ciotole viaggiano dall’uno all’altro dei commensali provocando un gran trambusto fra gli oggetti posti sul desco. C’è da dire che questo lo fanno anche gli altri miei fratelli, presenti e passati; lo fa Martino con me (mi dà un urto di nervi!), lo faceva la povera Iris (più che altro glielo facevano), lo faceva soprattutto il defunto Ubaldo, l’ingegnere, che sospettava sempre di star perdendosi qualcosa (era paranoico, secondo me).
Scopo della riunione era mostrare ad Edoardo l’ultima foto del concorso “Vota la rotonda più comunista”. La foto arrivata proprio ieri ritrae la rotatoria sita alla confluenza della Via Assisana, della Via Tuderte, di via della Pallotta e di altre tre vie di cui mi sfugge il nome, presso l’Orto Botanico.
La foto ha tuttavia scatenato la diatriba fra Megalo ed Edoardo (sotto lo sguardo benevolo di Lucky). Mio fratello sputava veleno sostenendo che il roundabout in questione è dispendioso ed inutile, anzi, dannoso. Prima della costruzione della rotonda c’erano dei semafori che servivano egregiamente allo scopo (diceva lui), ora con la rotonda “non si passa mai” (“Se tu sei scemo…” ribatteva Megalo) perché “dentro la rotonda c’è sempre qualche macchina che t’impedisce di entrare“ (“E quelle macchine che t’impediscono d’entrare da dove vengono, dal nulla?” diceva mia sorella. “Come sono entrate loro, entra anche tu, deficiente! Usciranno dalla rotonda, a un certo punto! O rimarranno lì in saecula saeculorum?”) e, oltre tutto, a che pro, si chiedeva il fascistaccio, piazzarci la fontana? Per farla vedere a chi? (Su quello ero d’accordo anch’io, ma sono stata saggiamente zitta). Megalo ribatteva, avocando a sé la ciotola di gamberetti che stava mangiando Lucky, che una rotatoria esteticamente gradevole serve anche per i turisti che salgono dalla E 45, ma Edoardo sbuffava. Megalo gli ha detto che per lui, essendo di destra, i soldi spesi nel settore pubblico sono in ogni caso buttati (“Certo!!! Guarda il minimetro!” ha ululato mio fratello).
A questo punto Lucky è intervenuto pacatamente. Lui è un giornalista di guerra ed è venuto qui per documentare le lotte che ci sarebbero state fra alcune frange della destra estrema, ostili al minimetrò, e i Vigili Urbani. Ha raccontato che, mentre veniva da Pisa con il treno, stava ascoltando le chiacchiere di due ragazzi provenienti da una qualche cittadina del sud. Uno dei due, laureando in farmacia e figlio di un facoltoso farmacista della sua città, diceva che se non altro aveva il posto di lavoro assicurato. L’altro gli chiedeva se era vero che in città avesse aperto una farmacia comunale; lo studente in farmacia rispondeva di sì, ma assicurava “…tanto la facciamo chiudere”.
- Che c’entra questo con le rotonde? – ha chiesto Edoardo, mentre Lucky gli sottraeva la ciotola e cominciava a vuotargliela – che gusto ci sarà stato, Edoardo mangia solo l’LD che non sa né di me né di te…
- C’entra sì – ha detto Megalo, stizzita. – La sensibilità nei confronti delle opere pubbliche! Nella città di questi due tizi il problema delle rotonde e del minimetro non si porrebbe di sicuro, capirai, non fanno manco sopravvivere una povera farmacia comunale! Lì sarà tutto privato, oppure il pubblico farà talmente pietà che la gente si dovrà per forza rivolgere ai privati! E indovina un po’ di che colore politico sarà la giunta, lì? –
- Sempre meglio che qui, dove le giunte rosse sfiniscono di tasse e di multe i cittadini per pagare questa giostra mostruosa e queste rotonde demenziali – ha ringhiato Edoardo. Io sono intervenuta dicendo che a me il minimetrò piace da matti, che ci ho fatto già trentaquattro giri con Ibadeth e Tarquinius, che tutti e tre abbiamo già comprato l’abbonamento e che vogliamo offrirci per piantare alberi, cespugli ed altre cose lungo il percorso del trenino…
Dopo qualche salace lepidezza sul tipo di vegetali che, secondo loro, io ambirei piantare, abbiamo guardato la foto della rotatoria dell’Orto Botanico. Ce l’ha mandata uno storno, tal Palmiro Pandolfelli, contabile in una ditta e studioso di statistica.

sabato 9 febbraio 2008

Lo Stagno Paleolitico


Stagno Pino 1
Inserito originariamente da susannucciauccia

Ecco lo stagno di fronte alla Food Farm, lungo il viale dei pini, dove le Ametiste del Nilo hanno danzato il Navigium Isidis...

venerdì 8 febbraio 2008

Inaugurazione della Food Farm

Dopo che l’inaugurazione della prelibata bottega ha avuto luogo, finalmente Baedyn il vombato ha potuto riposare e ha principiato il suo lavoro alla "Food Farm" con quattro giorni di ferie. Madama Grazia no: Madama Grazia è come la dea egizia del perpetuo fermento, non si riposa mai e non trova mai pace. Per il suo compleanno voglio regalarle un sistro…
Comunque, tutta la faccenda è stata suggestiva. Oltre all’abbondanza di squisitezze esposte all’interno della bottega, montagne di prelibatezze troneggiavano sui tavoli approntati sotto il capannone di fronte, in uno slargo del viale di pini della stazione paleolitica. Panini con la porchetta, torte al formaggio con il lombetto, pizze al pomodoro e pizze alla cipolla, salsicce secche e coppa profumata, per non parlare dei cabaret di dolci… Il pomeriggio è stato dedicato alla meditazione e alla spiritualità, come potrete ben immaginare. Ma il culmine dei festeggiamenti si è avuto con lo spettacolo delle “Ametiste del Nilo", allestito nello stagno che dava sulla valle ammantata di boschi di querce ... anche se io ho avuto la vaga sensazione che gran parte del popolo sia stato coinvolto più che altro dai “Licaoni del Liscio” e dalle danze popolari locali.

Lungo i bordi dello specchio d’acqua circondato da canneti e pini erano stati sistemati cinque tripodi di bronzo, con le fiammelle che coloravano di arancione cangiante la superficie color piombo dello stagno. Nell’acqua stava un barcone dipinto di nero, circondato da torce accese e da spighe di grano. Io ho temuto il peggio per tutta la performance, ma le cinque odalische apparivano tranquille e concentrate. Delle due l’una: o sapevano quel che facevano o erano una massa d’incoscienti. La seconda che hai detto, mi suggerisce Edoardo. Il barcone era collegato con la terraferma da un piccolo pontile di legno rivestito di veli neri che ricadevano nell’acqua.

Al suono delle melodie orientali (alcune delle quali erano ri-arrangiate in stile chill out, peraltro), le “Ametiste del Nilo” hanno eseguito una complicata coreografia che rievocava la storia di Iside, la Dea Madre, di suo figlio Horus che poi diviene suo sposo, dell’uccisione da parte del di lui (ma anche di lei, mi pare) fratello Seth, della ricerca disperata di Iside del luogo ove lo sposo era stato sepolto e del ritrovamento del sarcofago che conteneva le sue spoglie (grazie alle parole proferite casualmente da alcuni bambini che giocavano) sulle rive di un fiume, dentro un cespuglio d’erica.

Nel primo quadro, nei panni della lucente apparizione, la danzatrice Shulamith, che vi ho già presentato tempo addietro: la siciliana Maria Grata Li Greci, anestesista alla U.S.L. per lavoro e odalisca per passione. Essendo una bella micia bianca, la parte della lucente apparizione le è stata affidata quasi d’ufficio. Indossava un’ampia gonna arancio cangiante ed un top ricamato di cristalli, era avvolta da un velo nero bordato d’oro e portava dei cimbali…

PRIMO VELO: LA DEA DELL’UNIVERSO
Dal mare sorge una lucente apparizione, un volto divino, che si ferma davanti ai miei occhi…
E’ veramente degna di essere adorata dagli stessi dei!
Un mantello nerissimo dai cupi riflessi, intessuto di stelle lucenti,
avvolge e si drappeggia intorno ad un abito dal colore cangiante,
cinto da guizzanti serpenti,
come lo Stige infernale gira nove volte intorno all’Ade!
Il capo è cinto da spighe.
La Madre Luna spande la sua luce azzurra
sulle ghirlande di fiori ricamati sul suo manto.

Nel secondo quadro predominava la dolce Aysel. Questo è ovviamente il suo nome d’arte: nella vita Aysel si chiama Fabiamaria Baldoncini Bellaveglia (detta Fabia per brevità) ed è una gatta certosina abbastanza dolce, proprietaria di una latteria in un paese che si affaccia sul lago Trasimeno. Indossava un abito argentato ed era avvolta da un velo rosso. Due serpenti dorati le si avvolgevano intorno alle braccia.

SECONDO VELO: LA DEA MADRE
Iside la Grande Madre seduta in trono
allatta il Figlio Horus, avvolto nel mantello.
In mano reca un vasetto d’oro in forma di barca,
avvolto da un serpente.


Il terzo quadro era animato da Maysa la lince (il cui nome d’arte è rimasto Maysa, naturaliter) e da Farhanaz, una gatta selvatica (mai quanto Maysa, peraltro, ma ci andiamo vicini), che nella vita fa la coltivatrice diretta e si fregia dell'altisonante nome di Alma Silvia Deogratias. Entrambe erano vestite con larghi calzoni bianchi svasati e stretti alle caviglie da ricami dorati e top candido con perle; l’unica differenza erano i veli, dorato quello di Maysa e argentato quello di Farhanaz. Portavano in capo una sciabola ricurva.

TERZO VELO: LA DEA LUNA
Si compie il plenilunio, tutto è visibile!
Seth il malvagio ha ingannato lo sposo,
col piombo ha sigillato la bara e l’ha gettata nel Nilo!
Ma gli dei misericordiosi mi hanno guidata
alle parole profetiche dei bambini del fiume di porpora,
e ai rami dell’erica che racchiude il sarcofago!

Il quarto e il quinto velo erano recitati da Maysa e Shahina… è il suo pseudonimo, ma secondo me poteva benissimo danzare col suo nome vero, come ha fatto Maysa, perché è indiana e si chiama Kirti Mrinal; è una gatta del Bengala, viene, manco a dirlo, dal Bengala e qui gestisce un negozio di alimentari orientale nel centro storico. Kirti Mrinal agitava un sistro ed era abbigliata con un abito intero, lungo, di color verde-azzurro-violetto, avvolta da un velo azzurro bordato d’argento.

QUARTO VELO: LA DEA SPOSA TERRESTRE
Spezza i sigilli del sarcofago dove giace il tuo sposo!
Nascondilo nella palude, che il malvagio Seth non lo trovi.

QUINTO VELO LA DEA SPOSA CELESTE
Vieni alla tua casa, io non ti vedo, ma il mio cuore sospira per te.
Ecco, io tua sorella ti amo più di tutto quanto in terra
e tu non ami un’altra come ami tua sorella,
certo non ami un’altra come ami tua sorella!
Io ti chiamo e piango così forte che le mie grida vincono il silenzio millenario.

Nell'ultima scena erano presenti tutte le ballerine, che portavano le “Ali di Iside” e in testa dei candelabri accesi. Danzavano in cerchio, si dividevano, raccoglievano tutti i loro veli e, ad una ad una, lasciavano con aria pensosa la scena mentre la musica sfumava.

SESTO VELO: LA DEA DEL PERPETUO FERMENTO
Danzate, portate spighe, agitate i sistri!
Accendete le torce, riempite la cornucopia di frutti!

SETTIMO VELO: LA DEA REGINA
Io vincerò il destino, solo io vi consentirò di estendere la vita oltre il tempo assegnatovi dal destino…
Io ho vinto la morte, io ho riportato il mio uomo alla vita,
io posso tutto contro le forze distruttrici del male!

(delirio d’onnipotenza, direi, così a occhio).

I brani sopra riportati, tratti liberamente dall’Asino d’Oro di Apuleio e da taluni miti egizi, erano letti, con voce alquanto sepolcrale, dall’otocione Jerusalem Gebratmaryam, Jerry per gli amici. Debbo dire che gli astanti hanno apprezzato molto l'avvenenza delle danzatrici, ma più d’uno si è domandato, a mezza bocca, quale fosse il legame tra i miti isiaci e gli insaccati umbri… Nessuno è stato tuttavia così audace da esprimere tali irriverenti dubbi ad alta voce.


INNO A ISIDE
Perché io sono la prima e l’ ultima
Io sono la venerata e la disprezzata,
Io sono la prostituta e la santa,
Io sono la sposa e la vergine,
Io sono la madre e la figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono la sterile,
eppure sono numerosi i miei figli,
Io sono la donna sposata e la nubile,
Io sono Colei che dà alla luce
e Colei che non ha mai partorito,
Io sono la consolazione dei dolori del parto.
Io sono la sposa e lo sposo,
e fu il mio uomo che nutrì la mia fertilità,
Io sono la Madre di mio padre,
Io sono la sorella di mio marito,
Ed egli è il mio figlio respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono la Scandalosa e la Magnifica.



La serata si è conclusa in maniera più tradizionale. I "Licaoni del Liscio" hanno intonato canzoni tratte dal più bieco repertorio popolare (quel che tocca fare per campare) e valzer e mazurke (cui non si sono sottratte nemmeno le odalische bellydancer (fra cui anche la Mamma), da Edoardo apostrofate con l'appellativo di "ventresche") si sono alternati nell'aia di fronte alla bottega, fino a tarda ora....

Ventresche.

Già. Alla fine l'abbiamo trovato, il legame fra gli insaccati umbri e la bellydance!







Concorso "Vota la rotonda più comunista"


Rotonda Ellera
Inserito originariamente da susannucciauccia

Una lettrice mi ha mandato la prima foto di una rotonda, a suo dire, assai comunista. Detta rotonda si trova ad Ellera, vicino alla Coop (e dove meglio? è ancor più comunista!). Megalo è entusiasta. Io sono un po' scettica per quanto riguarda l'equivalenza comunismo = perfezione, ma Megalo qui mi dice che non posseggo coscienza politica.... La cosa è quasi certa. Ne possiedo poca, è vero: mi basta studiare, suonare, farmi le canne con Ibadeth e chiacchierare con la Mamma, la sera, sdraiata sul suo stomaco. Tuttavia ciò non significa che non mi accorga di quello che succede intorno a me.

E quello che succede ora è foriero di tempesta ed uragani.

La lettrice che mi ha inviato questa foto si chiama Maya, dice che lavora in una grande fabbrica che produce miele e pappa reale ed è iscritta al Partito da più tempo di quanto non possa ricordare. Sostiene anche di conoscere lo Zio Panda, ma non mi ha spiegato dove mai lo abbia incontrato. Lo rivelerà, un giorno o l'altro, spero.

martedì 5 febbraio 2008

Chi ha visto il Gatto Golia?


Gatto Golia
Inserito originariamente da susannucciauccia

Il Gatto Golia manca da casa dal gennaio del 2007... E' scomparso a Perugia, in zona San Costanzo, ma il suo corpo non è stato mai trovato, per cui si spera sia ancora vivo e che qualcuno, chi lo sa, lo abbia trovato e adottato.

E chi sa che non voglia restituirlo alla sua mamma... o almeno avvertirla che è vivo. Se lo è.

Chi lo ha visto?

domenica 3 febbraio 2008

Narcisismo maligno, ovvero il superuomo de noantri

Stavolta Maddy dice che è sicura. Le sue ricerche storiche l’hanno condotta ad avanzare un‘ipotesi fondata su solide basi. Dice lei. Anche l’altra volta era sicura di aver individuato il piccolo Albert nel pargoletto che ripetutamente cercava di lapidare Nostro Signore… poi Edoardo le ha fatto notare, piuttosto acidamente – ma del resto che cosa ti aspetti da un culo, una romanza?, come dice sempre lo Zio Panda (pare sia un’espressione ferrarese) – che i due spensierati comportamentisti Watson e Raynor erano defunti negli anni Cinquanta e pertanto c’era… come dire… un piccolissimo scarto cronologico. Certo che tuo fratello va a guardare il capello, ha detto Maddy piccata; ma ha ripreso le sue ricerche storiche ed ha reperito nuovi documenti che dimostrerebbero inoppugnabilmente che il piccolo Albert era…
Ricapitoliamo. Nei primi decenni del XX secolo, due comportamentisti americani, John Watson e Rosalie Raynor, vollero dimostrare che la personalità può essere modificata, che molte fobie sono vere e proprie reazioni emotive condizionate, sia in via diretta che per traslazione, e che i disturbi emotivi degli adulti possono essere fatti risalire a reazioni condizionate avvenute nella prima infanzia. Per provare la loro teoria, i due bigattini da mosto condizionarono un bimbo, il piccolo Albert, ad avere paura di una stola di pelliccia bianca: mentre giocava con dei topolini bianchi presero a fargli esplodere mortaretti e a suonargli trombe da stadio nelle orecchie, talché lo sciagurato ogni volta che vedeva qualcosa fatto di pelo bianco si sentiva male.
Pare che, dopo aver proposto stravaganti rimedi al danno che avevano perpetrato, i due figuri si siano sposati (Dio li fa e poi li accoppia) e abbiano abbandonato la psicologia – Deo gratias – per dedicarsi alla pubblicità… che cosa avranno voluto convincere la gente a comprare, una scatola di montaggio per una camera a gas? ...
Il piccolo Albert crebbe, nonostante tutto, si trasferì a Londra con la famiglia (dice la Maddy) ed andò a vivere nel quartiere periferico di Kenbourne Vale, dove viveva anche lo psicopatico-paranoide Arthur Johnson. Confuso, spaventato e problematico, il ragazzetto passava il tempo spiando i vicini di casa per carpirne i segreti ed eventualmente ricattarli… non tanto per denaro, quanto per sperimentare l’ineguagliabile senso di potere che produce nella psiche la consapevolezza che l’altrui destino è nelle tue mani. Quando tuttavia scoprì il segreto di Arthur Johnson, rimase un po’ spiazzato. Visto com'è, un serial killer era cosa ben diversa dai mariti fedifraghi, dalle massaie borseggiatrici o dalle fanciulle di dubbia moralità. Ma quando si rese conto che Arthur aveva trovato nello strangolamento del manichino una valvola di sfogo per il suo desiderio di uccidere, provò un senso di esultanza. Poteva finalmente dare la stura al suo sadismo e vendicarsi di quel vecchiaccio rompicoglioni che varie volte lo aveva rimproverato quando lo vedeva scrivere parolacce sui muri. Così, quando il giovane laureando Anthony organizzò la festa di Guy Fawkes, il trucibaldo ragazzino "trovò" (ma guardacaso) un manichino nello scantinato della casa vicino alla sua e, aiutato da altri giovani sciamannati par suo, lo trasportò a casa, dove la solerte giovane madre vedova lo vestì con alcuni vecchissimi cenci del suo defunto marito… La notte del 5 novembre, festa di Guy Fawkes, il manichino fu incendiato fra gli applausi di tutti gli abitanti del quartiere e sotto gli occhi stupefatti del povero Arthur passato lì per caso. La sua Dama Bianca, la sua zia Gracie, il suo angelo custode… Il piccolo Albert sperimentò un sadico gaudio nel vedere la faccia di Arthur Johnson quando le fiamme lambirono il manichino, tanto che si diede a saltare e a ballare in un parossismo di gioia, trascinando tutti gli astanti in uno scatenato reel e cantando canzonacce che il buon gusto che mi contraddistingue non mi consente di trascrivere; qualcuno riportò che il malefico pischello cantasse Arrivano i Campbell, urrà, urrà!, ma ci fu anche chi sostenne di averlo inteso intonare le note della famosa ballata Ti strappo i peli del culo e ci faccio le trecce, brutto vecchio rincoglionito (il cui testo è probabilmente da ascriversi ad una fase tarda della produzione letteraria colta di John Donne).

I testi di psicologia la chiamano "sindrome di narcisismo maligno". Consta di un disturbo narcisistico di personalità con venature di comportamento antisociale, disprezzo per gli altri, aggressività e sadismo egosintonico (ovvero con cui il paziente si trova benone), che possono esprimersi in una ideologia consapevole di auto-affermazione aggressiva, come succede ad esempio ai leader di bande sadiche - tipo Arancia meccanica - o gruppi terroristici. Possono essere presenti anche fantasie di omicidi (o suicidi) eseguiti senza un movente razionale, per dimostrare la propria superiorità sul dolore e sulla morte. Stile il superuomo dannunziano, tanto per capirci.
Si sentono padroni della morte, dice Kernberg.
Stanno freschi, dico io.

venerdì 1 febbraio 2008

…o forse Disturbo di personalità antisociale?


Cosa significa psicopatico?
Il termine "psicopatia" nel mio amato DSM-IV non c’è più. Fu usato per la prima volta dallo psichiatra Checkley, nel 1941, nel libro "La maschera della sanità". Negli anni che seguirono fu gradualmente abbandonato e sostituito dal termine "sociopatia": si era verso la fine degli Anni Sessanta e si cominciava a mettere l’accento sui problemi sociali come origine di quelli psicologici. Nella seconda versione del DSM la sociopatia viene chiamata "personalità antisociale" e nella terza si affaccia l’attuale denominazione.
Ruth Rendell definiva Arthur Johnson "psicopatico" e così la psicopatia (o disturbo di personalità antisociale) è definita dai criteri diagnostici del DSM-IV:

A) Un quadro pervasivo d’inosservanza e violazione dei diritti degli altri, che si manifesta sin dai 15 anni come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
1) incapacità di conformarsi alle norme sociali e legali, come indicato dal ripetersi di condotte suscettibili d’arresto;
2) disonestà,menzogne, uso di nomi falsi e truffe (o per profitto o per piacere personale);
3) impulsività ed incapacità di pianificare;
4) irritabilità ed aggressività (stra-grrrrrr!!);
5) inosservanza abituale di regole morali e legali;
6) irresponsabilità abituale, incapacità di sostenere un’attività lavorativa continuativa od obblighi finanziari;
7) mancanza di rimorsi (razionalizzazione dopo furti o maltrattamenti).
B) L’individuo ha almeno 18 anni.
C) Disturbo della Condotta prima dei 15 anni d’età.

Forse non ci avrò capito un sano tubo, ma a me non sembra che questo sia il ritratto di Arthur Johnson. Anzi.
Mi sono ripassata la Hare Psychopathy Checklist, la quale elenca una serie di item che descrivono quello che dovrebbe essere un bel personaggino. Il povero Arthur ci rientra molto poco. E’ un tipo affidabile (fin che non gli gira il boccino), privo di fantasia, serio fino alla pignoleria, senza alcun fascino (né superficiale né nascosto). Non truffa alcuno, non ha comportamento sessuale promiscuo (anzi, non ha comportamento sessuale tout court), non ha di sé un senso grandioso. Non è manipolatorio, non ha uno stile di vita parassitario. Tanto meno ha una storia di delinquenza giovanile ascrivibile a un Disturbo della Condotta. E’ sì insensibile, carente di empatia, ha affetti molto superficiali, manca di rimorso e di sensi di colpa: a lui delle vittime come persone non gliene può fregar di meno, le vede solo come fonte di problemi per lui. E’ incapace di verbalizzare la rabbia: invece di mandare affanculo la zia Gracie, che sarebbe stata cosa buona e giusta, ha ingoiato per anni, si è identificato con lei fino a credere che lei avesse ragione di trattarlo come lo trattava, e poi ha agito la sua rabbia violentemente, proiettandola sulle altre donne, che non gli avevano fatto nulla. Era, come spesso i paranoidi, timoroso di una resa passiva (tanto che il dottor Freud aveva fatto l’ipotesi di un’omosessualità latente. Insomma, il paranoide avrebbe paura di essere inculato, per dirla elegantemente). Dopo essere stato per anni vittima passiva della zia Gracie, ci credo che temeva che tutte le femmine lo mettessero all’angolo (o a novanta gradi, per citare il padre della psicoanalisi).

E allora perché Ruth Rendell lo chiama psicopatico? Dovessi fargli una diagnosi io, azzarderei che è affetto principalmente da Disturbo di Personalità paranoide, con qualche tratto antisociale.
E cosa si può proporre come terapia?
Per il paranoide, è indicata di solito la psicoterapia espressiva, con abbondanza d’interpretazioni (= spiegare al paziente cosa prova e perché si comporta in un certo modo), ma con cautela, senza sbattergliele sul muso. Può anche essere necessario "contenere" la rabbia del tipo (ovvero: se ti accusa di qualcosa, non negare veementemente, ma cercare di capire perché la pensa così e fargli capire che ha il diritto di essere imbufalito). Questo veramente dovrebbero farlo tutti, non solo gli psicoanalisti, ma transeat.
Per l’antisociale propongo le seguenti terapie: Lourdes, Fatima, l’altoforno della Thyssen Krupp di Terni…

Un fiore rosa


Maysa la lince non guida l’auto, viaggia con l'Ape Cross (già questo dà l’idea del tipo). Ora tuttavia l’infernale accrocco è in riparazione – tanto per mutare – talché ieri sera mi ha chiesto d’accompagnarla allo scalcinato teatrino dove lei e le "Ametiste del Nilo" fanno le prove per uno spettacolo di danze orientali, dedicato ai miti egizi.
Quando, dopo un paio d’ore, sono andata a riprenderla, era già fuori dal teatro (che si trova imbucato in un dedalo di viuzze squallide del centro storico appena lambite dai restauri) e mi aspettava nella piazza antistante insieme con un’altra danzatrice, Maria Grata Li Greci, che voleva anche lei approfittare del passaggio. (Maria Grata Li Greci è una gatta bianca siciliana, viene da Enna, nella vita fa l’anestesista alla U.S.L. e nel corpo di ballo danza con lo pseudonimo di "Shulamith"). Maysa aveva in mano un fiore rosa di cartone, un’approssimativa margherita del diametro di una trentina di centimetri, con il cuore giallo (un disco di cartoncino applicato al centro). Entrambe lo stavano guardando come se avessero trovato chissà che.
- Un fiore rosa – mi fa Maysa, e meno male che lo ha detto, che era rosa, sotto la luce dei lampioni pareva biancastro. La piazza è stata da poco restaurata e ripavimentata con pietra rosa chiaro, ai piedi della scalinata doppia di fronte alla chiesa hanno riadattato una piccola fonte e la luminosità dei lampioni al sodio dava a tutta la piazza un che di lievemente innaturale, come se stessimo all’interno di una conchiglia.
- Dove l’hai trovato? – le ho chiesto. Ha fatto un gesto vago. – Qui per terra - . Dall’altra parte della piazza c’era una piccola enoteca, decorata con festoni. – Verrà da qualche festa –
- Non ci vuol tanto a capire da dove viene – ha fatto Maria Grata Li Greci, buttando a terra la sigaretta che stava fumando, verso una macchina parcheggiata di fronte all’enoteca, decorata con altri sei o sette simili fiori ed altrettanti pezzi di bi-adesivo da cui se n’erano staccati in gran numero. Uno azzurro fra l’altro giaceva calpestato sul marciapiede. Maria Grata l’ha raccolto e riappiccicato sulla carrozzeria. Maysa non mostrava intenzione alcuna di fare altrettanto col suo.
- Magari è un buon segno – ha detto Maria Grata. – Può darsi – ha commentato Maysa, guardandolo pensierosa. Io non ho detto niente. Sotto la luce rosata, Maysa lo ha guardato ancora una volta e poi l’ha riposto nell’incavo del suo tamburello.
- Non ci credo, io, ai segni – Appunto, mi pareva. Di solito è molto pratica. – Però… sai quanto mi semplificherebbe la vita, crederci –
Mi pareva un po’ sconsolata. Chissà cosa ci ha. Comunque si è aggiustata la sacca sulle spalle e mi ha seguito. – Dai, muoviamoci – ho detto alle due odalische – Ho lasciato il break davanti ai bidoni della mondezza, in sosta vietata –